Itinerario tra i Parchi Usa fai da te

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ITINERARIO PARTE 1: Los Angeles/Las Vegas

Come promesso, prosegue nel dettaglio il racconto di Alessio, che con sua la famiglia ha attraversato gli States con un itinerario tra i parchi USA dell’Ovest, visitando, tra gli altri, due parchi nazionali d’eccezione: niente meno che la Monument Valley e il Grand Canyon. In questo post trovate il racconto dei primi dieci giorni, da Los Angeles fino a Las Vegas, ma il viaggio completo on the road negli States è durato 22 giorni e ha toccato quattro Stati: California, Arizona, Nevada e Utah.

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Giorno 1 MILANO – LOS ANGELES

Il volo da Monaco di Baviera è lungo, ma con l’Airbus Lufthansa si vola molto bene eccetto per l’atterraggio da nausea. Quando il pachiderma oscilla le ali, si va su e giù come in un parco giochi.  In aeroporto veloce check out automatico alla nostra famiglia intera, a mo’ di bancomat. Segue scrupoloso controllo di tutte le impronte della mano e foto varie, con operatore in divisa. Welcome in America.

Uscite varie del terminal ci conducono all’esterno, dove al volo troviamo la navetta del Marriott Hotel. Uno bus-scuolabus stile Louisiana con un autista stile Louisiana e la musica stile Louisiana. Abbiamo prenotato vicino all’aeroporto in uno delle tante catene alberghiere per smaltire subito il jet lag, senza correre rischi inutili al volante della macchina a noleggio. I rent a car principali sono tutti su Airport bld. ed è possibile andarci a piedi il giorno dopo con una bella camminata, ritornando successivamente a prendere i bagagli in hotel.

Noi tramite un broker abbiamo risparmiato tantissimo con Hertz. Nessun consiglio riguardo assicurazioni auto, perché sono scelte personali, così come la polizza infortuni e malattia.

Alla sera cena in unfast food per tutte le età, consigliato da Trip Advisor. Nulla di eclatante eccetto per l’acqua naturale che deve essere sempre con ghiaccio a causa del gusto di plastica terribile. Chiudiamo il primo giorno constatando che la presenza di senzatetto per strada non è un mito, ma cruda realtà.

Giorno 2 LOS ANGELES – KINGMAN: 544 km  6h45

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Tenete conto che i tempi di viaggio sono meramente indicativi e basati sui nostri ritmi e andatura.

Ritirata la Nissan Rogue (tipo Qashqay), usciamo abbastanza agevolmente da Los Angeles grazie al navigatore gratis installato sull’Iphone: Here We Go. Troverete un numero incredibile di corsie – ricordatevi di non guidare su quella contrassegnata dai diamanti – asfalto trasandato, sorpassi a destra e a manca, limiti di velocità bassissimi e poco rispettati sono caratteristiche cui vi abituerete presto. Vi consiglio un check sul web sulle principali regole di guida negli Usa prima di partire. Per ore non c’è nulla di decente che possa distrarre dalla guida. Lande senza vegetazione con paesoni attraversati da 4 corsie. Il cielo grigio mette il carico da 11.

Quando arriva il sole d’improvviso siamo sulla Route 66 e ci concediamo qualche foto sullo stemma dipinto in strada. Poi una sosta al giardino della foresta di vetro, prodotto di un personaggio naif che ha maneggianto tondini di ferro e bottiglie di vetro (birra evidentemente); c’è anche una jeep Willis insabbiata in pessime condizioni. Dirigiamo verso Calico-Ghost Town. Tenete a mente la parola Ghost Town perché la affibbiano ad ogni mucchio di rottami per non chiamarli discarica.

Comunque Calico, antica miniera, è ben ristrutturato e notevolmente turistico: c’è tutto per una visita di 2 ore, villaggio, treno, miniera, negozi e ristoranti. Noi si mangia hamburgers e chips in un locale dove si tirano le bucce delle arachidi per terra. E a parte il rischio di finire per terra distesi, è tutto molto folkloristico.

Ci avviamo un ora dopo verso la destinazione Kingman, ma saltiamo una Oathman sulle colline, per mancanza di tempo: a 65 miglia orarie, si fa lunga. Questione da tenere a mente quando si programma un itinerario. In aggiunta, almeno in questa parte degli Usa, non esistono le gallerie e le strade ondulate girano attorno ai monti o ci salgono sopra con pendenze da pista da sci. Kingman è già da film: ha una parte residenziale con campo da golf, ma per lo più non si capisce dove cominci e dove finisca, tagliata in due dalla superstrada.

 

Dove dormire a Kingman

Sull’asfalto tutto il repertorio: personaggi su Harley, camion a motrice enorme, pick up con il cassone rinforzato a 4 gomme. Lungo la strada, in un punto che potrebbe essere ovunque sulla carta cittadina si accede al parcheggio del Days Inn Motel.

 

Quando visiti un posto portandoti da casa degli stereotipi e in un colpo solo ti rendi conto che sono tutti verificati, allora ti pervade un senso di stupore misto a soddisfazione: dunque è vero!

 

Ci sono tutti gli ingredienti del Motel da action serie: reception con il tizio sudato e il ventilatore, macchina del ghiaccio, un solo piano, terrazzino tutt’attorno per accedere alle camere, porte di compensato sottile; la stanza, la moquette, il condizionatore vecchio e rumoroso, l’arredamento, l’interruttore a leva, il telefono a tasti quadrati, c’è pure l’antincendio a stella…Ora dal vicino farà irruzione l’agente Callen di Ncys. Fantastico! Tutto quanto filmato per mostrarlo a veri intenditori di americaneria.

Cena pseudo-salutista con frutta e yogurt del supermercato di fronte, distante 4 corsie trafficate.

Giorno 3 KINGMAN – WILLIAMS:  213 km  3h

Benzina: sperare che l’erogatore accetti la vostra carta di credito, leggere il video e seguire le istruzioni, schiacciare 87 ottani e fare benzina. La macchina deve essere vicina, il tubo attaccato alla pistola è ben corto! Se invece si paga cash, prima si entra nella stazione, si dichiara quanti dollari o galloni e si paga. Non ci sta tutta? Pazienza, si torna indietro a prendere il resto.

Fare gas in USA è una goduria: dall’Italia non si immagina neanche quanti km si facciano con 30 $. Ma attenzione ai prezzi variabili sensibilmente da luogo a luogo: a noi è capitata una forchetta tra 2,25 – 4,9 $ al gallone. Per tutto ciò c’è GasBuddy.com.

Abbandoniamo la cittadina sulla 66 che corre ben manutenuta accanto alla ferrovia. Poco dopo passa il convoglio merci più lungo della nostra vita: un serpente di 2-3 km con almeno 4 locomotive e una arlecchinata di container sopra i vagoni. Anche questo ci riporta ai film con i treni fuori controllo senza guidatore. Maciniamo km traversando un paesaggio bello per quindici minuti, prima di diventare monotono, accostando a bordo strada per fotografare stupiti l’ampiezza degli spazi.

L’Arizona sa essere alienante, con le sue roulotte sparse qui e là, una parabola sul tetto e un pick up mezzo sfondato. Basta dare uno sguardo ai colori con Google Earth per capire. Breve sosta all’Hackeberry General Store, fucina di souvenir della R66.

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Seligman ha gli addendi perfetti della formula della depressione. Una pseudo cittadina in mezzo al bush che qualcuno di geniale ha trasformato in un importante posto tappa 66, grazie al film Cars.

Si fermano così molti bus e i turisti si mescolano attorno alle auto della Pixar/Disney, tranne gli orientali che fanno gruppo a parte sotto i loro ombrellini.

Qui lavorano solo hotel, “ristoranti” e souvenirs. Uno dei principali lo gestisce un immigrato tedesco, nostalgico dell’Europa, ma ben attaccato ai dollari. Gli chiediamo come viva la maggior parte dei residenti, quale lavoro svolgano. “Nulla, cosa vuoi che facciano qui? 3$ di lavoro in nero o elemosina per gonfiarsi di hamburger e coca cola che costa meno dell’acqua. E televisione. Li tengono buoni così, non piove mai qui.

Il negozio è fornito di ricordi da trascinarsi a casa, nemmeno troppo cari. “Zucchero, il cantante, che è un 66ers è passato di qui due volte; mi ha spedito un cartone di biografie, sono laggiù”. Ce ne sono ancora molte, segno che il turista è più interessato alle targhe auto e ai portachiavi. “Guarda io ho i peli dritti per Pavarotti” e mostra l’avambraccio.

Nel negozio c’è pure il bar; dietro il banco c’è una bella giovane americana in canotta nera, formosa. Ogni volta che si apre la porta, volge lo sguardo con la speranza che qualcuno la porti via da lì, come in un copione. Al cambio del turno si aggiusta i capelli nello specchio, leva il grembiule e lo lancia sul banco allontanandosi. Chiudo gli occhi per dare un titolo a questo film. Io ti ho già visto!

Wlliams – fine corsa. E’ più di un gioco di parole: dormiremo in un vagone! Siamo a 2000 mt, circondati da alberi sempreverdi. La città è decisamente orientata al turismo, con molti negozi sulla via principale, ognuno con i propri specifici souvenir. Prima di visitarla andiamo al Bearizona per vedere gli animali (ingresso base 22$ adulti, 11$ bambini).

Dove dormire a Williams

Soldi ben investiti soprattutto per il tutorial con tarantola, iguana, porcospino e lontra, dove i bambini vengono intrattenuti vis a vis con questi animali. Conviene capire piuttosto bene l’inglese, le informazioni sono molte! C’è anche il giro in macchina in mezzo agli orsi e bufali. Dicevamo poc’anzi che per 100$ ti puoi affittare un terzo di vecchia carrozza o un gettonatissmo locomotore per passare la notte. In questo caso, prenotando con largo anticipo, sareste ospiti del The Canyon Motel RV park. Per i last minute ci sono classici bungalows sparsi in mezzo a camper motorhome con attaccata dietro un jeep Wrangler.

In vacanza, gli americani, sembra si portino la casa dietro: sono comunque sempre accoglienti e molto socievoli, amano la sedentarietà, con spiccato gusto retrò. La piscina li accontenta, protetta da un capannone in sintetico e circondata da sedie simili ai sedili di una Fiat 127 sport. Restando in tema treni, nella cittadina di Williams c’è una storica locomotiva a vapore enorme, bellissima e lucida: da qui parte il treno per il Grand Canyon entrata sud (da 67 a 115$ per 2h30 di viaggio): non vi sappiamo dire di più perché noi siamo andati in macchina.

Tutti mangiano alle 19 e noi non possiamo fare eccezione. Siamo al Cruise Cafè 66, un must all’angolo di due strade, con tavoli poggiati direttamente sull’ asfalto. Tra gli ospiti passeggia zio Jesse di Hazzard (per chi lo ricorda) a fare gli onori di casa in versione cowboy. La gente apprezza.

Noi italiani non sappiamo più far passare il tempo come loro, siamo troppo frenetici, come un lavoratore edile bergamasco. I giovani, anche di bell’aspetto sono troppo informali per i nostri canoni. Qui in Arizona tutto è dilatato come il tempo: si ragiona in blocchi di case, non per vie o distanze.

 

Qui c’è ancora lo “stai attento”, “at your risk”, “mind your step”. Ci sono ancora i chiodi che spuntano e i gradini rotti, senza che il comune venga subissato di post di denuncia.  

 

Giorno 4 WILLIAMS – TUBA CITY:  230 km  3h15min

Partenza “intelligente” alle 5.30 con 5 gradi, direzione Grand Canyon.

Facciamo il nostro ingresso da sud con la nostra tessera annuale Usa Parks – America the beautiful (80$ viene ammortizzata al 3° parco visitato) e troviamo subito un comodo parcheggio. Li per lì sembra un luogo qualunque in un plateau media montagna, poi si supera la linea dei lodge e bam! Il vuoto.

 

DON’T MISS: GRAND CANYON

 

Il Grand Canyon è una ferita sconfinata nella terra americana.

Inutile descrivere, bisogna vedere. Si deve ammirare tutta la sua grandiosità, i suoi colori, vegetazioni e animali.

 

Vi consigliamo di percorrere a piedi (o bus con differenti punti di sosta nel percorso a/r per un totale di 1h20) la red route con magnifici punti di sosta.

Un sospiro di sollievo esce quando scopriamo che un vecchio progetto di hotel da 600 stanze è tramontato: avrebbe sostituito l’antica e prospera miniera di uranio. Qui può fare molto caldo e quindi attenzione all’acqua; ci sono tutte le informazioni del caso, compresi i sentieri che scendono giù giù fino al Colorado River. Il fiume lo si vede qui e là, azzurro, grigiastro o verde a seconda della corrente.

E’ impressionante cogliere la differenza delle 5-6 fasce climatiche: cactus alla base, temperato nel mezzo (1200 mt.) con querce e sequoie, in alto pini e conifere (2500 mt.).  Di ritorno apprezziamo anche il centro visitatori, usufruendo del bus route blue.

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Fino ad ora ho verificato alcuni stereotipi dei film: l’americano gradasso, fastidioso nella noncuranza del prossimo; l’autista del bus-a one man show: fa cabaret, guida e uomo d’ordine; la mancanza dei bidet e del tubo flessibile della vasca da bagno per fare la doccia. Sorprendente invece la cordialità e socievolezza di altri locals. Un tipo sul pullman mi avvicina e dice che negli Usa non si vive bene: ha lavorato solo sei mesi per 5 ore, ma si accontenta così.

Al Visitor’s Center stiamo poco, perché siamo un po’ stanchi, giusto il tempo per vedere un documentario su una enorme palla sospesa in aria. Ripartiamo con calma nel pomeriggio inoltrato verso Tuba City, sostando in ogni  view point per gustarci ancora il canyon (merita su tutti il Desert Point).

Scendendo di quota aumenta il caldo. Strade prima ripide e poi piane ondulate, tipiche dell’Arizona che ti impongono di domandarti perché mai abbiano rubato queste terre inospitali agli indiani.

E a proposito di indiani, faticosamente troviamo la fatiscente insegna per il Dinosaur tracks un plateau all’aperto che conserva orme di 200 mln di anni fa lasciate da dinosauri vari. Il dubbio sulla veridicità ci assale da subito visto l’accoglienza da baraccopoli, con gli onnipresenti relitti d’auto al posto del box office e sei bancarelle che faticano a stare in piedi. Ma tant’è, l’anziana indiana ci accompagna sul sito evidenziando con una bottiglietta d’acqua bucata orme, scheletri, feci e uova di Velociraptor, T-rex, Diplodochi etc.

Sullo sfondo un pennone gigantesco con la bandiera americana, messo forse li a monito per i nativi, ma sicuramente perfetto da fotografare. La donna dice di abitare in una riserva vicino, piena di acqua e frutti spontanei, cui fa ritorno alla sera. La giornata invece, la passa sotto il sole accampata tra un’auto e una baracca. Unico obolo richiesto è l’acquisto di un prodotto della propria bancarella: 8$ per in mini tomahawk.

Dove dormire a Tuba City

Tuba city è la capitale della nazione Navajo, per cui ci sembra perfetto essere accolti da un mustang senza sella in corsa per strada. Curiosità: c’è il carcere indiano. Per il resto è una cittadina come le altre, salvo una percentuale molto elevata di nativi. Il nostro Hotel Quality Inn Navajo Nation più che valido e comodo, resta vicino ad un ristorante dai soliti piatti e un altro stereotipo: lo sceriffo grasso al tavolo e la radiolina gracchiante. Null’altro di rilevante.

Giorno 5 TUBA CITY- MONUMENT VALLEY: 236 km  4h

Avvio di giornata con il solito panorama di bush e rocce, talvolta spettacolare, talvolta noioso. Il navigatore dello smartphone movimenta la giornata facendoci imboccare una strada bianca alla ricerca del Navajo National Monument. La stessa termina presso una casa-roulotte indiana, circondata da cani randagi. La situazione diventa un po’ tesa quando un locale esce dall’auto con aria interrogativa, poco amichevole. Saluti, scuse, retromarcia e una bella guidata su sterrato fantastico.

Il Navajo National Monument lo troviamo una mezz’oretta dopo. Al fondo di una grande valle c’è un villaggio arroccato in una caverna gigantesca: lo si puo’ vedere percorrendo un sentiero panoramico di circa 2km ricavato su grandi placche di rocce e presso alberi usati nella medicina indiana.

 

DON’T MISS: MONUMENT VALLEY

Temperature alte. Una decina di dollari di carburante più avanti, si gira sulla Highway 163 a Kayenta fino all’incrocio con la Monument Valley bld. Andando a destra si sale verso una delle più impressionanti viste della vacanza. Quei tre picchi senza punta, visti decine di volte in virtuale, ora li abbiamo fisicamente davanti al naso.

Ci sentiamo di sconsigliare il mordi e fuggi, passateci una notte (anche per via del biglietto di ingresso che non è compreso nella tessera parchi America the beautiful). Dunque potete scegliere tra le cabine con vista (noi abbiamo optato per quelle),  oppure una stanza nell’ hotel monoblocco, camper o campeggio.  

Dove dormire nella Monument Valley

Per un ricordo perfetto vi consigliamo le cabine The View – bungalows da quattro persone, indipendenti con terrazzino coperto, vista valle. Noi abbiamo pagato sui 220 € a notte, ma si tratta di un’esperienza più unica che rara. E’ inclusa la colazione nella struttura centrale dell’hotel a 150 metri.

NOTA BENE:

  1. Bisogna prenotare con largo anticipo.
  2. Ci sono due file di cabine, una davanti all’altra: nella fila “front” le cabine sono tutte ok, mentre nella “valley” sono buone solo le cabine dalla 2 alla 6. Non è un dettaglio: più della metà delle cabine valley hanno la vista disturbata dalla fila davanti e la differenza di costo non è significativa (il prezzo totale invece è abbastanza impegnativo).

Altra importante segnalazione: all’incrocio stradale di cui prima, non andate a sinistra. Attenzione non dormite in strutture tipo il Golding’s lodge, perché perdereste tutta la vista: tra voi e la Valley corre, proprio per traverso, la collina su cui sorgono le cabine di the View.

Dormendo in loco tutto si svolgerà con calma: le foto di rito sul sasso (al momento capirete), il giro nel negozio di souvenir o nell’unico ristorante, entrambi cari. La Monument è li sotto, in tutta la sua maestosa immobilità.

 

Cosa fare nella Monument Valley

Vi è consentito un giro con la vostra auto laggiù, su polveroso sterrato; ma perché non spendere ancora qualche dollaro (150$ per due adulti e un bimbo di 9 anni) prenotando un’escursione di tre ore su jeep?

Seriamente, visiterete luoghi altrimenti interdetti e salvaguardate la macchina. Fa un caldo pazzesco! Per l’auto e per voi. Non dimenticate litri di acqua e sali minerali. Inoltre, la guida al volante attribuirà un nome ad ogni monte e scoprirete che il processo di desertificazione ha fatto piazza pulita degli animali. Al tempo di Ombre Rosse c’era vita. Quando la DeLorean di Ritorno al Futuro fuggiva dagli indiani, si poteva vivere e cacciare. Ora restano piste di sabbia da affrontare a manetta per non restarci dentro con il mezzo, sotto blocchi di roccia di una maestosità unica.

Il giro prevede momenti da turismo di massa: la sosta alle bancarelle navajo, la foto sul cavallo come Clint Eastwood, la lezione di vita indiana nelle tende. Il ricordo di una bambina aggrappata al mondo moderno tramite un ipad ci accompagna ancora adesso.

Alla conclusione del tour sarete più insabbiati di una mummia, fuori e dentro il vostro corpo. Nulla di meglio che una doccia, bibita fresca e sdraio sul terrazzino: questo se pernottate in loco.

Ci sono eventi nella frenetica vita di oggi che vanno assaporati con il giusto timing: tipo il tramonto e l’alba.
E qui le ombre delle rocce che si allungano sulla valle valgono il soggiorno.

Giorno 6 MONUMENT VALLEY – PAGE: 200 km  2h45

Attenzione ai cambi d’ora tra Stati, compreso quello Navajo.

Terribilmente appagati da una delle più suggestive albe, accendiamo l’auto appena dopo colazione. All’incrocio con la 163 andiamo a destra, direzione Forrest Gump: vogliamo allungare di quindici minuti per una foto nel punto in cui Tom Hanks si è fermato.

Riconosciamo il posto dalla gente in mezzo alla strada con i cellulari. Ci aggiungiamo anche noi con la go pro e due racchette da tennis per un match sui generis sull’asfalto liscissimo.

Tornati sui nostri passi guidiamo fino a Page, fortunata cittadina vicino al Colorado’s Horsehoe Bend, Antelope Canyon e lago Powell, sempre in terra indiana. Forse per ringraziare tanta abbondanza c’è un’intera via di chiese dai nomi altisonanti. Meglio non fare torti a nessuno, per cui entriamo in una lavanderia a gettoni. Ci laviamo qualcosa in attesa di depositare i bagagli al Best Western hotel e aggregarci al gruppo per scendere nel lower Antelope Canyon alle 13 come prenotato dall’Italia. 108° fahrenheit.

DON’T MISS: ANTELOPE CANYON

Quando hai un capolavoro per le mani, puoi presentarlo malamente, senza attenzioni, che avrai comunque un seguito. E’ quello che accade in questo caso, ammassando turisti sotto una tettoia a cuocere in attesa del turno di discesa. Fatti il segno della croce se ti scappa un bisogno, perché troverai i peggiori cessi chimici di tutta una vita.

Ciononostante non transitare da qui è un errore imperdonabile. Chissene frega del caldo, incognita flash flood, minacce di scorpioni e rattlesnake, mancanza d’aria, sovraffollamento. In realtà nonostante tutti questi warnings, noi siamo stati benissimo.

La nostra astuta guida ha fatto in modo di isolarci dalla massa per ammirare un capolavoro della natura per forme e colori: imperdibile per chiunque (soprattutto con il sole alto nel cielo).   

Ancora inebriati dalla sua bellezza ci spostiamo in auto per 20 min. fino alla marina del lago Powell, artificialmente creato con una diga superpresidiata dalle forze dell’ordine (rifornisce d’acqua buona parte della California).

Il contrasto di colori terra-lago è ancora vivo negli occhi adesso. Il sole ne ha aumentato la brillantezza rendendola un’altra perla nella nostra vacanza. La crociera aggiunge note culturali al paesaggio veramente da cartolina.

Per chi fosse interessato il lago si è riempito in diciassette anni (‘63-’80) occupando il sito del Glen canyon scavato dal Colorado. Pulitissimo, profondo anche 170 mt è il secondo lago degli USA per superficie e meta di tantissimi locali anche per gite domenicali. E’ stato set cinematografico per importanti film: da Il pianeta delle Scimmie a I 10 comandamenti, Gravity e cielo per il lancio col paracadute in Point Break.

Dove dormire a Page

La serata la passiamo in città da Big John’s Texas BBQ, quintessenza dell’americanità. In poche parole: quattro file di tavoloni da sagra sotto una tettoia, due barbecue dimensione bombolone del gas, una band over 50 e almeno un centinaio di commensali. A metà serata una ragazza orientale si alza, sale sul palco in canotta e ciabatte da doccia per cantare alla grande “Rolling on the river”. Chiudiamo la nottata nella calda piscina dell’hotel Best Western Plus At Lake Powell.

Giorno 7 PAGE – BRICE CANYON:  250 km 3h20

Una benzinaia con pochi denti mi spiega i vantaggi del basso costo del carburante. Le rispondo che anche avere le highways gratis non è male.

A dieci minuti da Page verso Flagstaff la natura ha creato l’ Horseshoe bend, per intenderci il tratto di Colorado più fotografato degli Stati Uniti. Si arriva, dopo un caldo saliscendi a piedi di 20-25 minuti fino sul bordo a strapiombo per vedere il blu, verde e il marrone delle rocce. Talvolta qualcuno piomba giù a causa dei selfie; ora stanno costruendo un parapetto. Di tanto in tanto passa qualche barca e onestamente potrebbe essere una bella idea. La route 89 ci porta alla meta successiva offrendoci alcuni stop quali il negozio di minerali e il Red canyon.

Il plateau del Brice Canyon National Park (compreso nella tessera parchi) sale quasi fino a tremila metri con vegetazione alpina bassa e abeti/pini/larici numerosi secondo il versante. Siamo in Utah e tutto sembra più organizzato ed economico della riserva Navajo: la macchinetta schiaccia penny, nostro metro di paragone, pretende 50 cent al posto di 1 $. La benzina invece fa leva sull’ isolamento e sale a 3.39$ da 2.90$ al gallone.

L’anfiteatro del Brice con i “camini delle fate” deve far parte dei vostri ricordi americani (Rainbow Point, ultimo viewpoint al termine della strada del parco). Al limite potete evitare il rodeo serale, per quanto il tutt’ in piedi all’inno americano vale da solo il posto a sedere.

Tutto ciò che per noi è film, qui è vita quotidiana.

Ciò che avete goduto dall’alto è imperativo vederlo dal basso: vale a dire imboccate uno dei sentieri ad anello che scende nell’anfiteatro da una parte e risale dall’altra. Dotatevi di una mappa e scegliete il vostro, ma non siate pigri, non andate in giro in ciabatte. Abbiate l’accortezza di cominciare presto per evitare la massa di gente e la polvere che si porta dietro.  

Dove dormire c/o il Bryce Canyon

La notte passatela in uno dei motel a 10 minuti dall’ingresso se avete intenzione di risparmiare un bel po’ (Fosters’ Motel e Foster family steack house).

Giorno 8 BRICE CANYON – ZION NATIONAL PARK  187 Km 3 h

E’ carino portarsi a casa dei souvenir, perché non qualche coloratissimo minerale low cost?

Con qualche kg di sassi nel baule, impostiamo il navigatore verso lo Zion sulla 89 verso Springdale e torniamo per qualche km sui nostri passi per poi svoltare a dx, in decisa salita sulla 9. Sinceramente alcune strade percorse non sono da prendere alla leggera con un camper, per via della sollecitazione dei freni. Tant’è si passa da 2700 a 1200 giù per una valle molto panoramica tra montagne di roccia liscia di diverso colore. Una di queste viene attraversata da un lungo e ripido tunnel.

Lo Zion National Park rispecchia più un parco di montagna, talvolta alpino. Per noi europei può risultare familiare e meno wow, ma per gli americani è Il Parco. Qui si mette via lo spirito da infradito del turistello da quattro passi. Qui ci sono gli hikers, c’è turismo sportivo, e tanto. Se non arrivi presto puoi sognarti il parcheggio vicino al visitors’ center e alla navetta. La cura del dettaglio è più evidente financo su colore dell’asfalto, marrone in tono con la roccia. E i prezzi di conseguenza.

Il parco racchiude tre delle più famose escursioni a piedi degli Stati Uniti: Emerald Pools, Angel’s Landing e The Narrows. Noi scegliamo per motivi di tempo quest’ultima (bus stop Temple of Sinawana): una fantastica camminata dentro le acque fredde di un torrente chiuso letteralmente da altissimi muri di roccia.

Piccola digressione: in stagione calda non è necessario lasciare un centone ai negozi che affittano scarpe da canyoning e bastoni; magari evitate di andare in sandali aperti o mocassini: siete sempre nel letto di un torrente fino alle ginocchia o oltre.  Vale la regola del muoversi in anticipo, a meno che non amiate la ressa e schiamazzi. Se piovesse non andate assolutamente, se foste dentro tornate indietro. A causa della roccia o del terreno arido basta un bello scroscione per formare un pericoloso flusso di fango e acqua (cercate su youtube: flash flood).

Dove dormire a Springdale

La cittadina di riferimento Springdale, stessa tipologia costruttiva di mille altre: via trafficata al centro e strade laterali. In questo caso però siamo in una valle delimitata da alte pareti rocciose, sufficientemente impressionanti. Consiglio: ogni aggregato di case dal parco fino a più di 50 km viene etichettato come Zion national park, quindi attenzione alle distanze se prenotate.

Un hamburger da King’s Landing bistrot nel giardino vista tramonto, con i colibrì, stupisce così piacevolmente da rendere il conto adeguato. La notte la passiamo al Blumberry Inn, ottima struttura con piscina, se non ci avessero assegnato la camera vicino alla macchina del ghiaccio. Vuoi i muri di cartongesso, vuoi le abitudini locali che la frequentano più di un bancomat, abbiamo avuto spesso risvegli nella notte e all’alba. Gli americani amano forse dormire vicino ai rumori? In ogni camera c’è sempre stata una apparecchiatura elettrica rumorosa, principalmente il compressore del frigo.

 

Giorno 9 ZION NATIONAL PARK – LAS VEGAS: 272 km 3h

La strada perde ben presto di fascino, riportandoci in quei paesaggi monotoni già subiti in Arizona. Nei dintorni di Hurricane abbiamo fatto sosta (se avete bambini fatelo) presso la ricostruzione di un villaggio cowboy dove si possono nutrire asini, lama e capre. Tagliamo a metà pianure, poi su e giù per ripide colline fino, accidenti, a stoppare la nostra navigazione in una coda chilometrica, non troppo anomala per gli standard locali.

Realizziamo la prossimità (in senso americano del termine) a Vegas dal numero di corsie della highway, ma l’occhio non vede nulla. Appare d’improvviso così come il suo traffico infrasettimanale. E’ un elemento nuovo per noi, nemmeno troppo apprezzato. Infatti eravamo usciti da Los Angeles di domenica e poi fidatevi che entrare nelle metropoli è peggio, soprattutto quando ci sono più di 40°! 

Dove dormire a Las Vegas

Il Travel Lodge del Center Strip è una mosca bianca. Un set perfetto per CSI. Al centro un parcheggio, il primo cerchio attorno è composto dal motel a L su un solo piano, il secondo cerchio da tutti i grattacieli della città. Un contrasto impressionante, una soluzione low cost, parking free nel mezzo della Strip (la via principale). Probabilmente offriranno ai proprietari denaro almeno una volta a giorno per sbaraccare, ma credo che ne facciano ugualmente abbastanza, se non cedono. E sicuramente non spendono in personale di servizio: all’ospite medio importa solo del wi-fi. Ma non c’è nulla di più comodo, così a buon mercato.

Siamo catapultati all’interno del Bellagio hotel & casinò: spazi e ostentazione tutta americana. I corridori sono pieni di gente di diverso tipo: turisti, giocatori, lavoratori, locals e habitué; transita una prostituta in rosso agli ultimi anni di attività: passo sicuro di chi ne ha percorsi tanti di kilometri in quei corridoi. Il buffet del Bellagio è uno spettacolo a parte, che richiede in cambio 40 minuti di coda e 160$ in 3. La sala enorme è pronta per il rifornimento delle cisterne sfruttando il sistema all you can eat. Un’ abbuffata alla ‘mericana con spreco di cibo -buono- senza eguali.

Tre camerieri ci portano una torta di compleanno improvvisata con fette di anguria e frutta. Cantano happy birthday 9y, suscitando la sorpresa di nostro figlio. Nel Bellagio si annidano turbe di giocatori di slot globalizzati e stereotipati: ci sono proprio tutti tra una cold bier e scarpe luccicanti. Da non perderne le luci notturne e lo spettacolo delle fontane, lì fuori all’hotel.

Elisa e Stefano, proprietari di questo blog, quando sono stati a Las Vegas hanno pernottato al Luxor Hotel & Casino. Ribattezzato subito “Buzzurro Hotel”. Se volete vivere in pieno gli eccessi di Las Vegas questo è il posto giusto! Impossibile non trovare la sua mole enorme a forma di piramide nera lungo lo Streep. Si dice che la luce proiettata di notte dalla cima della Piramide si veda si dallo spazio. Il prezzo è molto competitivo per lo standard dei servizi e la comodità.

Vegas è quella dei films sui casinò e non potrebbe essere diverso: è la realtà, l’eccesso come regola e status quo. Occorre stoffa per viverci. Il negozio M&M’s potrebbe essere il più grande del mondo per questo marchio, con dispenser di cofanetti di mille colori, alti 4 metri e ogni tipo di gadget. Resterà in memoria anche per tre teenagers esibizioniste, succintamente vestite, di cui una in tanga.

Ma è Vegas. Dove studentesse e donne si vestono da drag queens, allietando i turisti per tutta la città: stesso sorriso per foto con famiglie e bambini che per le mani dei pornoturisti di passaggio.

Si può definire un carrozzone divertente, un circo con tutti i personaggi: il barbone molesto, la escort, la coppia fresca di nozze, il prostituto col serpente, il centauro in impennata nella Strip, il popolo orientale con pelle bianca latte, cappellino e ombrello, l’uomo dei biglietti della lotteria, la limousine Hammer nuova, la limousine vecchia bollata. Quelli vestiti da star wars, quelli da uomo ragno, quelli che è meglio evitarne lo sguardo. Ragazzine di 16 anni che se ne sentono addosso 30 e signori anzianotti idem.

Con la luce solare la città perde metà del valore. Le persone sono più ordinarie ed è tutto un un “good job” e “oh my goosh”. Ci facciamo due palleggi nel parcheggio prima di accendere il motore, dopo mezz’ora di ricerca spasmodica delle chiavi. Forse meritava restare un altro giorno.

P.s. Se perdete le chiavi della vostra macchina, vi conviene farlo in una città, in maniera tale da evitare un salasso, nel farsene portare un doppione. Chi è un disordinato seriale consideri eventuali assicurazioni in sede di noleggio.  

 

Giorno 10 LAS VEGAS – AMARGOSA VALLEY: 142 km 2h

Uscendo da Vegas ci concediamo un giro in uno shopping center in stile urbano Serravalle outlet ricavandone qualche gioia per la signora. Cavalchiamo l’onda dei grandi spazi commerciali ed entriamo da Walmart, dove ci vuole quantomeno un monopattino per girarlo tutto. Usciamo con un cooler e ghiaccio per conservare i nostri cibi: $6

Al volante tutto facile una volta usciti dalla metropoli, strada dritta, accompagnata da qualche migliaia di Cactus.

Dove dormire ad Amargosa

ll bello arriva quando parcheggiamo all’ Amargosa Longstreet Inn & Casinò. Perché è nel nulla e c’è solo quella costruzione, sotto il sole, neppure il classico distributore nelle vicinanze. L’interno è il set di un film: un casinò retrò in miniatura (dopo Las Vegas capirete) funzionante, una stanza con mille cimeli originali del passato. Manca solo Boss Hog a contare i soldi dietro la ringhiera della cassa.

C’è un giardino con il prato e una vecchia diligenza che ospita una piccola piscina e famelici uccelli palmati pronti a mangiare il granoturco appena comprato da un dispenser. Il panorama sul bush e il tramonto sono notevoli. Che l’albergo sia di buona qualità e abbia all’interno un piccolo bazar è solo una informazione di servizio. Il pomeriggio passa tranquillamente in acqua per mitigare i 42°, nutrizione animali, relax e lettura, con sempre un orecchio verso il nulla, cercando di percepire un sonaglio di rattlesnake. Burgers o grigliata per cena, ci mancherebbe altro. Che giornata!

Non perdete la seconda parte del racconto: Death Valley, Sequoia NP, e poi da San Francisco fino al Los Angeles lungo la Pacific Coast highway!

Se amate gli on the road potrebbe interessarvi anche il racconto del nostro on the road tra le montagne rocciose del Canada Occidentale.

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Testo e foto di Alessio Tondo

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Elisa Scuto

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